Una guida per chi deve rifare l'impianto di riscaldamento: obblighi, normative e permessi

Rifare l’impianto di riscaldamento: obblighi, normative e permessi

Rifare l’impianto di riscaldamento è una scelta a volte obbligata, a volte semplicemente consigliata. E’ obbligata quando è soggetto a mal funzionamento, e molti dei suoi elementi sono già andati incontro a usura.

 

 

In questo caso, piuttosto che “rattoppare”, è bene procedere con un rifacimento completo, che consenta di raggiungere un’efficienza tale da determinare un certo risparmio.

Rifare l’impianto di riscaldamento è anche consigliato quando l’impianto, pur funzionante, ha fatto il suo tempo, e le prestazioni che è in grado di erogare sono infime, rispetto a quelle di un impianto moderno. Di nuovo, lo scopo è garantirsi un impianto efficiente, che permetta di ridurre la spesa energetica.

Ovviamente esiste impianto e impianto, qualsiasi discorso sul rifacimento non può prescindere da un’analisi del proprio budget. Ma tant’è: anche con una spesa contenuta – per quanto ingente in senso assoluto – è possibile sostituire il vecchio impianto con uno molto più performante.

Da considerare, oltre la questione del budget, c’è anche quello delle normativa, che si lega con il tema degli obblighi e dei permessi. La affrontiamo in questo articolo, offrendo una panoramica il più possibile esaustiva.

 

Esempio di impianto di riscaldamento a battiscopa.

 

La normativa di riferimento

La normativa è complessa. Lo è da un punto di vista oggettivo e lo è soprattutto dal punto di vista chi deve interpretare e agire di conseguenza. Anche perché alcune norme si sovrappongono, e in alcuni casi sembrano contraddirsi. Tuttavia, in soccorso giunge la prassi, che è ormai più consolidata e offre riferimenti piuttosto solidi in fatto di regole.

Qui parliamo soprattutto del progetto, dell’eventuale deposito all’Ufficio Urbanistica e dei permessi, che poi sono i temi che maggiormente interessano coloro che eseguono gli interventi, nonché i committenti stessi.

Per esempio: quando si intende rifare l’impianto di riscaldamento il progetto è necessario? La risposta è sì, il progetto è necessario sempre e comunque. La domanda da porsi è: chi deve redigerlo? Va depositato al Comune? Il dubbio, in questo caso, è tra il tecnico dell’impresa che realizza l’impianto e un professionista terzo.

Ebbene, secondo il Decreto Ministeriale n.37 del 2008, il progetto va depositato agli uffici preposti del Comune e quindi deve essere redatto da un tecnico terzo e qualificato solo quando esso prevede l’installazione di “canne fumarie collettive ramificate”. In buona sostanza, quando l’impianto di riscaldamento appartiene a un condominio o comunque ad appartamenti che condividono in qualche modo l’impianto.

In ogni caso, quale che sia l’autore del progetto e le dinamiche di consegna (all’Ufficio per l’Urbanistica o solo al cliente) i progetti devono essere redatti secondo regole precise. Esse sono definite dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 59 del 2009.

Il progetto, poi, deve essere accompagnato da una relazione tecnica. Essa è disciplinata dall’allegato E del Decreto Legislativo n. 192 del 2005.

 

La Dichiarazione di conformità

Un altro tema importante consiste nei “documenti” che vengono rilasciati al committente. Ebbene, premesso che il progetto deve essere comunque consegnato al committente, a quest’ultimo spetta anche la Dichiarazione di conformità, che appunto attesta il possesso dei requisiti di legge da parte dell’impianto.

L’impresa che si occupa dell’impianto deve rilasciarla sempre al cliente, ma va anche depositata allo Sportello Unico dell’Edilizia del Comune (alcuni Comuni però prevedono obblighi diversi).

 

 

Un render che rappresenta un possibile schema di impianto di riscaldamento per una casa.

 

Inoltre, la Dichiarazione di conformità, tra le altre cose, deve contenere ampi riferimenti allo smaltimento dei fumi, argomento su cui la normativa ritorna spesso (e non c’è di cui stupirsi, visti i pericoli derivanti da un’inadeguata gestione dei fumi).

 

I titoli abilitativi per il rifacimento dell’impianto di riscaldamento

Vi è poi il tema, altrettanto complesso, dei permessi, o per meglio dire dei titoli abilitativi. Anzi, più che complesso è “spinoso”. I permessi (o titoli abilitativi) nell’immaginario collettivo sono costosi, difficili da ottenere, oggetto di lungaggine burocratica. La realtà è abbastanza diversa da ciò che sembra, o almeno non è poi così catastrofica.

Per esempio, in molti casi, anche quando si parla di impianto di riscaldamento, è possibile agire senza permesso, in modalità “edilizia libera”. In altri casi, più che di permesso si dovrebbe parlare di titolo, in quanto essi vengono prodotti in formato “autocertificazione”. Dunque, non sono soggetti al parere dell’ente, ma solo a eventuale verifica.

Lo scenario più auspicabile è quello dello “zero permessi”. Va detto che è uno scenario circoscritto, e che non riguarda i rifacimenti dell’impianto di riscaldamento in senso stretto. Più che altro, è possibile agire in edilizia libera solo in caso di manutenzione ordinaria. Dunque, stiamo parlando di riparazioni, non di rifacimenti.

 

Un render rappresentante la sezione di un impianto di riscaldamento a pavimento.

 

Quando si rifà un impianto di riscaldamento, ovvero quando si modificano materiali, tecnologie e persino il disegno originale, è necessario procedere con la SCIA, Segnalazione Certificata di Inizio Attività. E’ il titolo abilitativo deputato agli interventi che interessano gli elementi strutturali, quale in effetti è l’impianto di riscaldamento. Non è così complicato da ottenere, anche perché è sostanzialmente una corposa autocertificazione del tecnico, che comprende ovviamente progetto e relazione.

Vi è poi un caso in cui è necessaria “solo” la CILA, Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata. Ovvero quando, più che rifare l’impianto, lo si arricchisce con una nuova caldaia. La CILA, per inciso, è una versione più edulcorata, meno impegnativa e meno costosa della SCIA. Anch’essa è prodotta in autocertificazione e non richiede il parere dell’ente. In termini di costi, compreso l’onorario del tecnico, siamo sui 1.000 euro nel primo caso e sui 700 nel secondo caso.